Il 14 ottobre è stata pubblicata su Le Figaro una intervista con David Gilmour, che ha occupato una pagina intera del quotidiano francese.
Di seguito la traduzione dell’intero articolo, che offre spunti interessanti e anche una rivelazione sul perché il chitarrista non esegue dal vivo brani dai suoi primi due album solisti:
David Gilmour: «La mia ambizione è alle spalle, non ho bisogno di comportarmi da tiranno»
Intervista raccolta da Olivier Nuc
Il leggendario chitarrista dei Pink Floyd pubblica un sontuoso album live registrato a Roma lo scorso anno.
Nel 2024, David Gilmour ha tenuto pochi concerti. Solo Londra, Roma, Los Angeles e New York hanno avuto il privilegio di assistere alle sublimi esibizioni di questo musicista supremo, una star da quando è entrato nei Pink Floyd nel 1968. In carriera solista dalla fine dell’avventura collettiva alla fine degli anni ‘90, Gilmour presenta un disco registrato nella cornice maestosa del Circo Massimo di Roma, The Luck and Strange Concerts, e un film, Live at the Circus Maximus, Rome.
Lo scorso settembre, il giorno dopo un’anteprima del film del concerto, David Gilmour ci ha ricevuti nei pressi della sua houseboat a Londra, in piena ristrutturazione.
LE FIGARO – Cosa hanno avuto di speciale questi concerti a Roma?
DAVID GILMOUR – Mi piace moltissimo l’album Luck and Strange, uscito lo scorso anno prima di questi concerti. Lo stavo ascoltando ancora stamattina mentre venivo qui. Adoro le canzoni che contiene, in particolare i testi scritti da mia moglie Polly. Mi piacciono anche molto i musicisti che mi ha presentato Charlie Andrew, co-produttore dell’album. Sono adorabili, brillanti, e portano una maggiore varietà nel modo di affrontare i brani, senza dover seguire pedissequamente le versioni originali.
Affermi che sono i migliori musicisti con cui hai mai suonato. Perché?
Sono molto sensibili e capaci di portare le cose in una direzione propria. Questo dà maggiore flessibilità ai brani dei Pink Floyd, in particolare. Certo, se spingono troppo oltre i pezzi, li richiamo all’ordine. Ma in realtà non ne ho davvero bisogno, perché sono molto bravi e attenti a ciò che accade.
Che tipo di capo sei? Un “maniaco del controllo”?
Temo di sì. I miei musicisti non direbbero il contrario. Sono ossessivo, ma so riconoscere il talento e la musicalità quando li sento. E desidero incoraggiarli a portare la loro sensibilità. Quello che cerco in primis negli arrangiamenti sono dei piccoli motivi memorabili all’interno delle canzoni. Può trattarsi anche solo di poche note di pianoforte. Questo aggiunge qualcosa di nuovo ai brani che eseguiamo.
La presenza di tua figlia Romany apporta molta freschezza e forza…
Con la sua leggerezza e spensieratezza, Romany contribuisce molto al piacere dell’impresa, sono perfettamente d’accordo. Sono assolutamente felice di averla accanto. Canta da quando ha tre anni, posso metterla nel mio studio con un paio di cuffie e va bene fin dalla prima registrazione. In realtà, lavoriamo insieme da vent’anni.
C’è amore e orgoglio negli sguardi che vi scambiate sul palco…
Sì. Mi piace il modo in cui non sta mai ferma sul palco, e il fatto che riesca a divertirsi così tanto davanti a folle enormi. Prima di questo tour, non aveva mai cantato davanti a più di trenta compagni di classe. Ma è fatta per esibirsi dal vivo. Ha un diploma da attrice. E la sua voce si fonde in modo molto naturale con la mia.
La incoraggerai a proseguire con la musica?
Ha formato un gruppo con le tre coriste del tour. Si esibiscono qua e là a Londra. Louise è una pianista magnifica, Hattie suona molto bene l’arpa, come Romany, e Charlie suona la chitarra e l’ukulele.
In una sequenza molto intensa del concerto suonate The Great Gig in the Sky dei Pink Floyd in formazione ridotta intorno al pianoforte. È molto toccante…
Polly mi ha spinto a prevedere questo momento in cui un pianoforte a coda arriva sul palco a metà concerto. Quelle due canzoni funzionano molto bene insieme, è vero. The Great Gig in the Sky è una composizione di Richard Wright, e A Boat Lies Waiting è un brano a lui dedicato: aveva senso metterle in sequenza.
Suoni sui più grandi palchi da oltre cinquant’anni. È questa la chiave della tua sicurezza sul palco?
Il vantaggio di avere una lunga carriera alle spalle è che anche l’ambizione resta indietro. Non hai più bisogno di comportarti da tiranno! Lavoro comunque con la stessa dedizione per ottenere il meglio, ma non mi sento in competizione con nessuno. Ho la mia nicchia, che è piuttosto ampia, e lì mi sento bene.
All’inizio del film ti presenti dicendo: «Sono una fottuta leggenda». È molto divertente…
Mi prendevo in giro, ovviamente, anche se nella presa in giro c’è sempre un fondo di verità. È stata mia moglie a insistere perché dicessi quella frase. Ha fatto bene.
Sui social vieni regolarmente classificato tra i migliori chitarristi della storia del rock… Cosa pensi dell’assolo di Comfortably Numb, considerato il tuo capolavoro?
È fantastico… Sono molto orgoglioso di quella composizione, e felice che abbia ispirato testi così belli, che non mi stanco mai di cantare. E quella progressione di accordi in si minore è perfetta per improvvisare: non devi pensarci troppo, devi solo lasciarti andare. Se emoziona le persone e le ispira, allora io sono l’uomo più felice del mondo.
A cosa pensi quando siete sul palco?
Ci sono momenti in cui posso affidarmi alle performance degli altri e limitarmi a pizzicare la chitarra, ma nella maggior parte del tempo sono concentrato al 110% sulla musica. Controllo il settaggio dei pedali, ma mi immergo anche nel significato del brano che sto interpretando. Il mio obiettivo è trasmettere verità e sincerità in ciò che canto. Spero di riuscirci, la maggior parte delle volte.
Durante la visione del film del concerto ti si è visto cantare tutte le canzoni. È stato molto commovente…
Spero di non aver disturbato nessuno. Sai, ho una lunga carriera e quindi molte canzoni. Ho pubblicato cinque album solisti, che rappresentano una cinquantina di brani, a cui si aggiungono un centinaio di canzoni dei Pink Floyd. Quello che voglio è suonare il maggior numero possibile di brani nuovi. Voglio far felice il pubblico, ma non a qualunque prezzo. Non farò mai un concerto chiedendo prima al pubblico quali canzoni vogliono ascoltare.
Non suoni mai brani dei tuoi primi due album solisti. Perché?
Non so davvero il perché. Avevo anche pensato di riprendere uno o due brani di quel periodo… Ma non è una questione musicale. Ha più a che fare con il fatto che ciò che vivevo allora non ha nulla a che vedere con la mia vita attuale. Quando si suona una vecchia canzone, riemergono flash di quel tempo, a volte.
Coming Back to Life è forse la tua canzone più emozionante. È una delle poche di cui hai scritto anche il testo, molto personale…
È una canzone d’amore per mia moglie, ma lei sostiene che l’abbia scritta parlando di me stesso. È emersa in un momento di grandi cambiamenti nella mia vita personale. Quei momenti possono essere sconvolgenti e difficili. Quando l’ho scritta, avevo davvero la sensazione di “tornare alla vita”. Da qui il titolo. Mi piacerebbe scrivere più canzoni di questo tipo, ma il fatto di aver sposato un’autrice affermata mi rende un po’ pigro su questo fronte.